15 gennaio 1995 - Il Sole 24 ORE - di Armando Torno

 

Il 13 gennaio Arturo Benedetti Michelangeli ha restituito
la Croce di Grand'Ufficiale dell'Ordine di Malta

L'armonia della semplicità

Incontro con il grande pianista:

i suoi «rifiuti», il suo rigore morale, il modello francescano che ama

Venerdì scorso, 13 gennaio, Arturo Benedetti Michelangeli ha riconsegnato al Sovrano Ordine Militare di Malta la «Croce di Grand'Ufficiale dell'Ordine al Merito Melitense». La prestigiosa onorificenza gli venne assegnata con un decreto del 30 maggio 1987. Il 13 giugno di quello stesso anno il maestro avrebbe tenuto, nella Sala Nervi in Vaticano, un concerto a scopo di beneficenza (a favore dell'Ospedale San Giovanni Battista, gestito dagli stessi Cavalieri di Malta).

 

Ma qui sospendiamo l'elenco dei fatti per dar spazio a qualche chiarimento, a un ricordo. Quel 13 giugno 1987 era un sabato. L'appuntamento per il recital venne fissato alle 18,30. Arturo Benedetti Michelangeli era attesissimo. Il suo ultimo concerto in Italia era stato a Brescia nel 1980, e si poteva considerare anch'esso un'eccezione (scopo benefico pure in questo caso: il pianista aveva suonato in memoria di Paolo VI e per aiutare i profughi del Sud-Est Asiatico). In Vaticano aveva tenuto un concerto dieci anni prima, venerdì 29 aprile 1977, sempre nella Sala Nervi. Si capirà dunque il clima che si respirava quel 13 giugno del 1987. Il programma inoltre si poteva considerare affascinante. Si apriva con la Sonata in do maggiore op.2 n.3 di Ludwig van Beethoven, proseguiva con la Grande Polonaise brillante précédée d'un Andante spianato op.22 di Chopin, quindi con la prima e la seconda serie di Images di Claude Debussy. Si chiudeva con Maurice Ravel: Gaspard de la Nuit (trois poèmes pour piano d'après Aloysius Bertrand). Fascinoso anche il libretto di sala. Iniziava illustrando le caratteristiche di quello spazio ideato da Nervi, poi offriva un profilo del Sovrano Militare Ordine di Malta. Dotto il saggio di Oscar Sandner dedicato al grande pianista. Si apriva con citazioni di Hegel e di Pound, nonché con parole alate: «Nomen est omen: Benedetti Michelangeli è lo scultore tra i pianisti. Come nessun altro con il tocco delle dita egli scolpisce una nota dopo l'altra».

 

© Deutsche Gramophon

 

Il successo di quel concerto è entrato nella memoria collettiva. I biglietti -che costavano da 100 a 300mila lire -andarono a ruba. Non se ne diedero in omaggio. E sembrava una storia esemplare, nata intorno a un'idea magnanima, organizzata da un ordine prestigioso che ognuno di noi incontra sui libri di storia, istituito come comunità monastica prima della conquista di Gerusalemme (1099) da parte degli eserciti della Prima Crociata. Dulcis in fundo: il pianista non aveva (e non ha) rivali. Ma - c'è sempre questa congiunzione avversativa con cui fare i conti -la vicenda non è andata come tutti si aspettavano. Riprendiamo la narrazione dei fatti.

 

Per il concerto in questione, Arturo Benedetti Michelangeli venne contattato nel 1986 dall'avvocato Giorgio Montini e poi dall'allora direttore dell' Associazione dei Cavalieri Italiani del Sovrano Ordine di Malta (l' Acismom) duca Arturo Catalano Gonzaga. Il nobiluomo chiedeva disponibilità al maestro per il recital e i proventi, secondo l'accordo intercorso tra le parti, sarebbero stati devoluti ad opere umanitarie. In particolare, come si legge nell'atto di citazione, «per dotare di un gabinetto neurologico l'Ospedale San Giovanni Battista alla Magliana per interventi sugli handicappati». Il celebre pianista si rendeva disponibile, senza chiedere alcun compenso, e l' Acismom si impegnava, nei confronti del maestro e del pubblico medesimo, a impiegare il ricavato per lo scopo benefico.

 

Il concerto si svolse e agli infiniti applausi seguì un periodo di silenzio. Benedetti Michelangeli si fece vivo sollecitando dei resoconti e l'11 novembre di quello stesso 1987, il duca Catalano Gonzaga, per conto dell'Acismom, indicava la somma incassata: circa 640 milioni di lire. Ma tale segnalazione non era seguita dall'attesa realizzazione. Fu così che il grande pianista sollecitò nuovamente, e nel giugno 1988 una lettera del presidente dell'Acismom, Francesco Colonna, ribadiva gli impegni assunti e invitava il maestro a tenersi pronto per la prossima inaugurazione.

 

Arriviamo in tal modo al dicembre 1988. L'Acismom si scusa del fatto che i lavori non siano ancora iniziati e ricorda che il progetto è al vaglio delle competenti autorità della Sovrintendenza ai Monumenti e che, comunque, l'autorizzazione non sarebbe mancata. Passa ancora del tempo. Benedetti Michelangeli sollecita nuovamente; di contro gli viene inviato un progetto, di quelli che però amano rimanere sulla carta. Il maestro decide, a questo punto, di affidare la questione a un legale. Un avvocato romano chiede all'Acismom qualcosa di concreto e l'associazione - siamo nel febbraio 1990 - ammette che gli scopi benefici, per i quali il recital era nato, non si erano ancora tradotti in realtà a causa del susseguirsi, nella stessa associazione, di tre amministrazioni "straordinarie", tra cui due commissariamenti e un'amministrazione statutaria. E l'amministrazione allora in carica rispose di non poter destinare i proventi del concerto.

 

© Koichi Miura, Japan

 

Il resto è storia d'oggi, o cronaca che dir si voglia. Quanto venne promesso a suo tempo non è stato realizzato e il maestro Arturo Benedetti Michelangeli non se l'è sentita di conservare l'onoreficenza conferitagli e l'ha restituita. Quanto ai denari incassati, va aggiunto che il 29 dicembre 1989 l'Acismom ha acquistato presso la Bnl 114 milioni di Bot trimestrali. Dopo di che non si è saputo più nulla. C'è, infine, chi ha osservato che l'incasso di cui si parla forse non era così esiguo. Se per una sala dalla capienza di 8004 posti (può salire, volendolo, sino a 12mila) si vendono 2mila biglietti a 300mila lire, 2784 a 200mila e 3220 a 100mila, secondo la suddivisione dei settori, sommando il risultato delle tre moltiplicazioni si ricava la cifra di 1 miliardo e 478 milioni. E le cronache del tempo riferiscono di una sala stracolma.

 

Non spetta a noi, certamente, stabilire quale conto sia quello attendibile. Quel che ci interessa di tutta la storia - che proseguirà nei tribunali e si concluderà con l'aiuto della legge - è il gesto del maestro. Poco prima chela riconsegna avvenisse, lo abbiamo incontrato, e abbiamo parlato con lui di questa vicenda. Ora ricaviamo alcune considerazioni.

Innanzitutto: il suo non è il gesto di un artista stravagante, ma più semplicemente quello di un uomo offeso. La lettera che egli ha inviato all'avvocato Giuseppe Alemani, con la quale lo invitava a riconsegnare le insegne (e che riportiamo in questa pagina per gentile concessione dello stesso Benedetti Michelangeli), riassume il suo stato d'animo. Non si possono interpretare tali righe -secondo un uso che si è trasformato in una specie di sport nazionale - per rincarare la dose sul suo conto. Benedetti Michelangeli rifiuta un'onoreficenza che non sente più «vera»: tutto qui. Diciamo questo perché il settantacinquesimo compleanno del maestro, festeggiato nei primi giorni di gennaio, ha dato vita al ripescaggio di una fiorente anedottica che nulla c'entra con i fatti reali. Non ci sembra bello, né tantomeno elegante, bersagliere senza requie la vita di un artista che ama soprattutto la riservatezza.

 

Seconda osservazione. Possiamo considerarla di carattere generale. Quando si parla di Arturo Benedetti Michelangeli ci si lascia prendere la mano e l'invenzione diventa la regola. In realtà le cose non seguono le leggi fissate dalla fantasia dei cronisti. La riconsegna della croce di grand'ufficiale, che abbiamo ricostruito grazie all'incontro con il maestro, rivela uno spirito che non si presta ad alcun compromesso. L'Ordine di Malta avrà forse le sue ragioni (e le esporrà a suo tempo e luogo, e ci auguriamo che non siano soltanto formali), ma lui, Arturo Benedetti Michelangeli, si è sentito tradito. E ha fatto quello che soltanto i grandi possono permettersi: ha respinto con un semplice gesto ciò che i più inseguono magari per l'intera vita. D'altra parte, lo ricordavamo la scorsa domenica su queste stesse pagine, egli ha rifiutato 8 lauree honoris causa. Non c'è altro da aggiungere.

 

Ma, per restare in argomento, non c'è da aggiungere alcunché nemmeno per certi suoi «rifiuti» mitizzati sino all'inverosimile. Facciamo un esempio, che ormai è indicato pappagallescamente e ostinatamente da un anno a questa parte dai soliti mitomani. Alla fine del maggio dello scorso anno, Benedetti Michelangeli aveva rifiutato di eseguire musiche di Debussy al Barbican Centre di Londra perché, si ripete e si strilla, «una sessantina di italiani avevano comperato i biglietti». Non è vero, è vero soltanto che delle organizzazioni italiane avevano rilevato un pacchetto di biglietti e li avevano proposti insieme ad un soggiorno londinese in un albergo a 5 stelle lusso. Si era combinata una cena-buffet dopo il concerto stesso, eventuali programmi per chi non avesse qualcosa di più interessante da fare in quel fine settimana londinese. Viste queste proposte, e constatato che lui diventava il motore inconsapevole della trovata, il maestro ha fatto - a proprie spese - quattro annunci su altrettanti quotidiani londinesi in cui si scusava con il pubblico inglese e si ritirava. Non una stravaganza, quindi, né un odio speciale per gli italiani, ma una coerenza che forse andrebbe capita più che irrisa. Tradotto in parole povere, il discorso si sarebbe potuto fare in questi termini: gentili signori, l'arte non si coniuga né con le gite "tutto compreso" ne con gli affarucci; è altra cosa.

 

© Joli Coeur

 

Certo, il discorso parrà strano in una società abituata ai viaggi organizzati e alle avventure sterili, senza emozioni, ai fine settimana esotici o non, alle escursioni buffonesche, ridicole e crudeli, il cui ultimo capitolo si consuma in Alaska, dove ci si reca a osservare gli animali liberi con l'elicottero, o a disturbare

le balene durante l'accoppiamento (che bello se all'inferno questi signori avranno la pena del contrappasso). Un pianista come Arturo Benedetti Michelangeli, che ha passato la vita interrogando i grandi perché dell'armonia, viaggiando negli universi delle sue tastiere, cercando quel che si cela sotto le note, che cosa ha da spartire con i viaggi organizzati? Che cosa c'entra questo artista che ama il silenzio, le solitudine, i piccoli gesti affettuosi del suo gatto (che si chiama Attila) con tutto ciò? Questo artista, che più di ogni altro ama la musica, perché dovrebbe rispettare quelle gioie artificiali che la nostra società moltiplica per evitare la noia su cui è basata?

 

Una terza osservazione non possiamo tacerla. Conversando con Benedetti Michelangeli, ci ha ripetuto che egli è offeso e addolorato per la pirateria che si esercita continuamente sulle sue esecuzioni. Dove suona, dove si reca, sempre lo attende qualcuno che registra e approfitta della sua arte per incidere clandestinamente dei dischi. L 'elenco delle incisioni non autorizzate dal maestro supera di gran lunga quelle riconosciute. L'Italia è un paradiso per chi decide di darsi alla pirateria e di approfittare delle registrazioni non regolari. Si rasenta troppo sovente la truffa: Michelangeli ha riconosciuto una donna che lo imita e vende al mercato compiacente i suoi falsi. Egli non sopporta vedere la sua arte, Il frutto della sua vita, in mano a gente che non ha particolari delicatezze, perché non ha nemmeno scrupoli. Anche in questo caso, egli ha tentato di procedere legalmente, ma non è facile ottenere ragione in Italia - almeno per il momento - su tali questioni.

 

Quello che abbiamo incontrato non ci sembra dunque lo stravagante pianista descritto a dritta e a manca, da gente che non ha mai scambiato con lui nemmeno un saluto. Egli ci è parso un uomo offeso, vittima di abusi, deluso da comportamenti maleducati, ma anche un grande che prosegue il suo itinerario, ogni giorno, con il pianoforte. L'esilio volontario in Svizzera gli consente di continuare a interrogare la musica. Sa il cielo se un giorno potremo risentire le sue straordinarie doti in una sala italiana. Certamente questo avverrà quando i pirati saranno messi nel luogo di loro competenza: Michelangeli parla del carcere, altre proposte si possono esaminare.

 

È giunto quindi il tempo dI smetterla con le offese, con le invenzioni. Riconosciamo in questo pianista quel grande maestro di stile e di musica, cerchiamo di comprenderlo con spirito francescano, lo stesso con cui si è accostato al mondo delle note. Sì, proprio così: francescano. Egli non desidera altro più del necessario, non chiede che di essere rispettato. Se volete capire quest'uomo, questo interprete che non ha eguali, più che le cronache o le interviste (a proposito delle quali ricordiamo che egli non ne ha rilasciate, anche se qualche giornale le ha pubblicate), vi conviene cominciare dai Fioretti di San Francesco, dalla «semplicità colombina» che in tali pagine trovate descritta. Incontrerete in tal modo quel filo che lega i grandi; e comprenderete perché il maestro con il suo pianoforte ha qualcosa in comune con un personaggio degli stessi Fioretti come il venerabile Giovanni della Verna, il quale «parlando dinanzi al papa e a' cardinali, e dinanzi a re e a baroni, e maestri e dottori, tutti gli mettea in grande stupore».

 

La via che Benedetti Michelangeli e il venerabile Giovanni battono e hanno battuto, è antica come l'uomo, ma è anche difficile da trovare. Si riassume in una parola, che qualche anima isolata riesce ancora a frequentare. Il maestro la conosce bene: è sufficiente passare un pomeriggio con lui per accorgersene. E tale parola va proferita senza aggettivi, senza aggiungere altro; spiega l'arte e gli uomini, e per capirla occorre l'intera vita. Si chiama semplicità.